“Dottore! Dottore, venga qui, lo sa che io prima dovevo con la mia esperienza di tanti anni e non sapere che… ma insomma la flebo di ieri l’ha rubata quel signore con la barba come lei che una volta bianca e molto freddo ma non era casa mia…”
“Signor Bruschi, provi ad alzare un braccio così, come faccio io, ecco bravo”. Il braccio cadde morto al fianco del vecchio non appena mollai la presa. Il paziente aveva un tumore cerebrale che gli causava un’importante emiparesi destra e che, soprattutto, alimentava un continuo fluire di frasi sconnesse. Farneticava incessante periodi mozzi sorti da un pensiero raccattato in fondo a qualche ricordo, pensiero che si perdeva poi lungo i binari sconnessi della sua mente ormai in subbuglio.
“Signor Bruschi, mi sa dire che giorno è?”
“Insomma, sì, il trenta, trentadue, tre e quattro trovati nel campo come quando andavo a funghi.”
La mia indagine serviva a capire quanto fosse orientato in quel momento il paziente, ma non mi aspettavo ormai grandi miracoli; il tumore sarebbe progredito in fretta e ogni giorno era un po’ peggio del precedente.
Ogni tanto però, da quel marasma emergeva ancora qualche concetto accurato e, quando succedeva, in quell’istante gli occhi del paziente parevano per una frazione di secondo rimettere a fuoco la realtà. Poi di nuovo via, a seguire le disordinate scariche nervose accese dal corpo estraneo che si portava dentro la scatola cranica. I momenti di lucidità, in ogni caso, erano sempre più rari.
Continuai l’intervista mentre registravo i parametri vitali, più che altro per riempire il vuoto di quei minuti che mi separavano dalla fine della visita.
“E mi sa dire chi è questa signora al suo fianco?” Al lato del letto, la signora Bruschi sedeva dritta, stringendo la mano del marito e indossando un’espressione seria e afflitta.
“Il fianco sì, mi stringe la vita lunga e faticosa…”
“Questa signora qui, chi è?”
L’uomo interruppe per un attimo il flusso di parole e alzò lo sguardo, come se si fosse accorto solo in quel momento di non essere solo.
“Questa?” Disse il signor Bruschi dopo qualche istante di silenzio. “Questa è mia moglie!” La donna mutò l’espressione componendone una di commosso apprezzamento.
Vidi il momentaneo guizzo di consapevolezza del paziente iniziare a ritirarsi, con il fuoco delle pupille che passava pian piano dall’esterno all’interno. “È mia moglie, mia moglie, sì, mia moglie” ripetè l’uomo serio, con lo sguardo rivolto a metà tra il dentro e il fuori, “ma non credo di averla mai poi tanto amata”. La sorpresa mi fece sfuggire un mezzo colpo di tosse.
Finii il resto della visita il più in fretta possibile ed evitando di incrociare lo sguardo della donna, mettendo via la cartella e uscendo dalla stanza praticamente in un unico gesto.
‘La prossima volta imparo a starmene zitto’ pensai mentre tornavo verso il mio studio. A metà strada decisi però di deviare verso il bar: avevo appena assistito a quella che era stata probabilmente la distruzione di una relazione durata una vita intera e ora mi ci voleva almeno un caffè.
La caffetteria era quasi vuota e mi posizionai su un tavolo appartato pronto a leggere le notizie sportive per distrarmi. Poco dopo, alzando gli occhi oltre le pagine rosa, vidi la signora Bruschi che entrava nel bar. I nostri occhi si incrociarono e con un gesto quasi riflesso rituffai la faccia tra le pagine. Quando tornai a dare un’occhiata alla sala, quasi caddi dalla sedia nel vedere la donna che si era accomodata al mio tavolo, prendendo posto senza che l’avessi sentita.
“Lei è giovane,” mi disse con un’espressione franca, “e non sa cosa vuol dire vivere per tanti anni vicino a un’altra persona.” Mi sorrise col sorriso di una nonna. “Ho visto che si è imbarazzato per quanto ha detto mio marito, ma vede, quando avrà qualche anno in più capirà meglio. Quello che voi chiamate amore non è altro che un’emozione passeggera. L’amore, quello vero, è un lavoro duro, e mio marito questo la sapeva bene”. Prese un sorso della tazzina del caffè che aveva davanti. “Sa quanto affetto ci vuole a stare di fianco a una moglie che ‘non si ama poi tanto’? Tanta, tantissima, ma questo il tumore si è dimenticato di farglielo dire.”