Scrivere con il piscio è sempre rilassante. E’ un’attività semplice, ma capace di distrarti anche quando non ti riesci a tenere il cazzo in mano a causa del sangue rende la dita viscide e scivolose. Chissà perché, forse ricorderà i giochi che si facevano da bambini, oppure potrebbe essere che compiere un gesto creativo con i propri fluidi di scarto sia la vera essenza dell’arte. In ogni caso, funziona sempre. Lo scrivere a fontana si mischia poi al piacere della vescica che si svuota, all’odore acre e al gesto di pisciare di per sé, gesto che a me è un fa sempre sentire vivo. Anzi, più precisamente direi che mi fa sentire funzionante. Quando mi svuoto mi percepisco come una macchina, un semplice automa con i suoi meccanismi interni che si muovono, filtrano, producono scorie e che, alla fine, si svuota. È una sensazione meravigliosa.
A pochi passi dalla pozza di urina e polvere diventata fango, esce da un cespuglio un armadillo. L’animale mi fissa con un paio di piccoli occhi gelatinosi. Spingo per potenziare il getto che dirigo verso di lui, ma ormai la pressione è poca e non riesco a raggiungerlo. Lui mi continua a fissare immobile e la cosa mi fa incazzare. Provo a tirargli un calcio con ancora i pantaloni aperti e il cazzo grondante, ma lui scompare via tra gli arbusti impolverati. Armadillo di merda.
Mi ricompongo e torno verso macchina dove apro il baule per vedere se l’uomo è ancora vivo. Quando alzo lo sportello mi fissa con due occhi sbarrati e terrorizzati, da animale ferito. Richiudo e rimetto in moto la macchina. Afferro dal sedile del passeggero un mezzo panino rimasto dal pranzo e parto facendo stridere le gomme. Tanto non c’è mai un cane in questo posto del cazzo.
Mentre guido penso che l’espressione dell’uomo fosse corretta. È giusto che mi fissasse così. In fondo lui è un animale ferito, niente più che un animale ferito. Anzi, direi quasi che sembri proprio un armadillo. Un insignificante armadillo con un paio di piccoli occhi gelatinosi.