Un gruppo di scienziati plurilaureati, ultradottorati e sottopagati aveva organizzato una missione straordinaria per osservare e descrivere una nuova e sconosciuta specie sottomarina: il lama degli abissi. Grazie a una descrizione dettagliatissima dei loro intenti, raccolta in un protocollo di varie centinaia di pagine, erano riusciti ad ottenere un corposo finanziamento dalla Società Zoologica Internazionale (SZI) con il quale erano partiti.
L’idea era nata durante un viaggio vacanza in Perù che i nostri intelligentissimi avevano organizzato l’anno precedente e durante il quale erano stati rapiti dalle meravigliose storie riguardo al misteriosissimo ed elusivo animale. La loro guida personale aveva infatti passato giorni a descrivere le caratteristiche di questa creatura fantastica. Questo sarebbe stato esattamente come un lama, ma in grado di vivere a migliaia di metri nelle profondità degli oceani grazie a un pelo sofficissimo che lo proteggeva dalle immense pressioni del fondo marino, si sarebbe cibato prevalentemente di piccole creature simili a gamberetti che cacciava attraverso una precisissima scarica di sputi e avrebbe avuto zoccoli appiattiti per nuotare a gran velocità. Inoltre, le orecchie allungate e appuntite avrebbero permesso di direzionare i movimenti e la coda paffuta gli sarebbe semplicemente servita per apparire carino. Grandi interrogativi avvolgevano però ancora l’animale; ad esempio ci si chiedeva come facesse a respirare sott’acqua, come potesse vedere a quelle profondità e se il tipico sorriso sardonico della specie gli servisse per difendersi dai predatori.
La guida gli aveva anche rivelato che nessuno era ancora riuscito ad osservare un esemplare di lama degli abissi nel suo ambiente naturale, e grazie ad alcune domande del più scettico e petulante del gruppo si scoprì che le leggende erano per lo più basate su antichi racconti e su una manciata di lama trovati in avanzato stato di decomposizione in una paio di spiagge sperdute tra le scogliere andine. Il materiale era comunque abbastanza ricco per galvanizzare il gruppo di studiosi in preda ai primi sintomi di astinenza dalla frizzante luce bluastra dei loro monitor, tanto che fu anticipato il rientro per mettersi subito a organizzare i preparativi per la missione (ad essere onesti il ritorno a casa fu facilitato anche da importati sindromi gastrointestinali e sfoghi eritematosi del gruppo di baldi studiosi, ma si può dire che l’entusiasmo per il nuovo progetto fu notevolmente preponderante nella scelta).
Già pregustando il Nobel, gli studiosi avevano portato con sé il loro armamentario, costituito principalemente da una sonda sottomarina rivestita da un panno di lana di lama per renderla meglio resistente alla pressione oceanica, una ventina di controller per comandarla a distanza e una tonnallata di gomme per il mal di mare, e ora si trovavano con tutta quella roba in mezzo al mare, malfermi su un ondeggiante peschereccio ammaccato, sballottati dalle onde dell’oceano Pacifico e svomitazzanti di qua e di là.
Poco dopo che la sonda fu calata in mare, con la solennità dei momenti topici per la storia dell’umanità, questa iniziò a tramettere immagini confuse del grigiume dell’oceano invernale. Per una buona ventina di minuti videro solamente un po’ di pulviscolo, qualche alga, uno squalo (cosa che fu accompagnata da non poche esclamazioni) e poco altro, in un clima teso che prometteva nuovi attacchi di acne erosiva da stress.
Ad un certo punto però, la sonda rimandò un’ombra tremolante e il gruppo di scienziati trattenne il fiato all’unisono. L’ombra era poco più che un puntino lontano, ma il modo con cui si spostava nello spazio lasciava chiaramente intendere che non fosse il solito gruppo di pixel che sfarfallava. La figura indistinta si stava avvicinando. Nella camera di comando non volava una mosca. Il ronzare dei monitor e lo scricchiolio delle leve dei controller erano gli unici rumori percepibili nella stanza. L’ombra avanzava verso di loro diventando sempre più grossa e più nitida. Ed ecco, con incredibile meraviglia di tutti (anche dello scettico petulante) il lama comparve e stagliò chiaramente all’interno della cornice dello schermo, ben illuminato dalla luce della sonda.
Il lama rimase qualche secondo immobile all’interno dell’inquadratura, come per volersi far fotografare, e poi nuotò via veloce nel buio delle profondità marine. L’aria nella cabina rimase sospesa ancora per qualche istante prima che un urlo di soddisfazione scoppiasse tra le pareti metalliche del peschereccio.
Tutti si misero subito a riguardare i fotogrammi del loro successo. Il lama era proprio lì ben disegnato sullo schermo e mostrava un’elegante forma allungata e discoidale, aveva lunghi tentacoli sinuosi e un paio di occhi liquidi al lato di un’enorme testa appuntita. Certo, non aveva il leggendario pelo-anti-pressione, e neanche la tipica forma da vertebrato terrestre. Aveva più che altro una pelle lucida e rossastra e otto arti disarticolati con piccole ventose disposte per tutta la loro lunghezza. Non aveva la bocca e quindi era purtroppo privo del tipico sorriso sornione e non si scorgevano neanche le orecchie-timone, né la coda paffuta. Ma per loro non c’erano dubbi, erano venuti per un lama e quello si loro occhi era un lama. Un lama degli abissi.