Quattro brevi racconti quasi romantici.
MACCHINETTA DEL CAFFE’
Salve, sono un Del Caffè, Macchinetta Del Caffè. Produco un ottimo caffè solubile, il migliore del che potete trovare sul mercato. Faccio caffè lunghi, espresso, cappuccini, thè caldi e per i più golosi anche cappuccini col cioccolato. Amo il mio lavoro, e nessuno lo fa come me. Anche perché sono una macchinetta del caffè speciale. Sono prodotta dalla ditta “Incontri fortuiti ma significativi s.r.l.”. È una ditta francese (non poteva essere altrimenti) specializzata in incontri amorosi fortuiti che avvengono, esatto, davanti alla macchinetta del caffè. Il meccanismo è molto semplice, sembro una macchina del caffè come le altre, ma all’interno dei miei circuiti, vicino al latte in polvere, c’è un nucleo d’Amore Primitivo, che, naturalmente, è in grado di attrarre due anime gemelle. È un nucleo potente il mio, funziona benissimo anche con le anime gemelle che vivono a parecchie centinaia di chilometri di distanza e per le situazioni più difficili. Romeo e Giulietta? È stato il mio nucleo d’Amore Primitivo a farli incontrare (prima che venisse installato dentro di me intendo). E pace che loro due fossero due coglioni, erano due anime gemelle, e si sono incontrate grazie al mio nucleo.
Ho lavorato per lungo tempo a Parigi, ma per fortuna ora sono in pensione. Mi hanno parcheggiato in un posto tranquillo, lontano da quei focosi voyeur universitari, che mi hanno fatto sudare sette camicie. Mica facile riconosce due vere anime gemelle in mezzo a tutti quegli ormoni e accenti svolazzanti. Ora presto servizio nella succursale universitaria di una piccola città di provincia. Sembra che abbiano fatto di tutto per farmi stare tranquillo. Muri scrostati, bagno a vista, lezioni noiose di fisica. Il meglio per tenere a bada l’amore. Ma, come vi dicevo, il mio nucleo è potente. E infatti ha continuato a lavorare anche in queste condizioni precarie.
Un giorno ho iniziato a sentire un’anima femminile che, da lontano, irrimediabilmente veniva sbatacchiata qua e là, accompagnata da un’anima maschile che a sua volta veniva trascinata su una sgangherata bicicletta fin da me.
Appena posai gli occhi su di loro era inequivocabile che fossero destinati a stare insieme. Quindi, feci il mio lavoro: mentre il Nucleo d’Amore primitivo li attirava a me, io mi impegnai a produrre il miglior caffè che potete immaginare; così buono da essere in grado di portarli nella predisposizione d’animo giusta per accendere i circuiti cerebrali della passione.
E che l’amore abbia inizio.
IL PROFESSOR QUAQUAVIZ
Il Professor Quaquaviz aveva quasi completato il suo nuovo studio. Gli mancavano solo pochi dati, e sentiva che quella sarebbe stata la volta buona. Era una splendida giornata primaverile, e la sua profonda cultura in umanologia gli permetteva di sapere che in giornate del genere le probabilità di incontrare quegli strani animali senza piume aumentavano di un quoziente bi-alare. Lui, personalmente, come del resto ogni papera che si rispetti, preferiva le fresche giornate di inizio autunno, nelle quali la nebbia sottile ti permette di stare pacificamente a sguazzare indisturbato in qualche laghetto di periferia. Ma gli umani sono così, cosa ci si vuole fare.
Erano anni che il Professor Quaquaviz studiava il comportamento umano in ogni sua forma, ed era arrivato a strutturare complesse e innovative teorie sul comportamento di questa curiosa specie di non-papere. La sua ultima scoperta, approfonditamente spiegata nel suo ultimo libro: “Gli umani non sono papere!”, aveva fatto il giro del mondo suscitando ammirazione in ogni dove. Nel libro, veniva analizzata ogni singola parte del corpo umano, dimostrando come essi non fossero, appunto, delle papere.
Nell’ultimo periodo il professore era passato ad un argomento altrettanto interessante. Recentemente aveva infatti notato come delle strane forme vegetali a sviluppo orizzontale, particolarmente rappresentate in prossimità dei laghetti, che tutto il mondo delle papere utilizza per i bisogni più urgenti, venivano di frequente scelte da un individuo umano di sesso maschile e un individuo umano di sesso femminile (anche se il professore faceva ancora fatica a distinguere i due generi, dal momento che gli umani non presentano piume e quindi neanche chiare differenze tra i due sessi), venivano frequentemente scelte, dicevamo, come luogo per una curiosa forma di scambio reciproco di cibo.
Funzionava pressappoco così: i due individui, dopo un primo momento passato a vagare con moto caotico, sceglievano una di quelle piante orizzontali in base a un criterio a lui ancora oscuro, dopodiché l’individuo maschio allungava il moncherino di ala verso l’individuo femmina, mostrava le ossa che facevano le veci del becco ed emetteva suoni di eccitazione. In caso di interesse, l’individuo femmina rispondeva mostrando a sua volta le ossa orali e riproduceva gli stessi suoni sgradevoli. Da quel momento poteva succedere che i due simulassero di avere un becco protrudendo una parte del loro molle muso, si avvicinassero fino a toccarsi e cominciassero a scambiarsi l’un l’altro il contenuto del loro stomaco. Il Professor Quaquaviz era abbastanza convinto che ciò fosse un chiaro rimando alla loro vita da pulcini, quando venivano ancora sfamati dalla madre.
In ogni caso, al professore mancavano solo poche osservazioni, dopodiché avrebbe potuto analizzare i dati e scrivere un altro interessante trattato. Si mise quindi dietro un cespuglio a sguazzare con aria indifferente (ormai aveva imparato che se si mostrava troppo interessato e si avvicinava eccessivamente a una di quelle coppie, l’individuo femminile interrompeva lo scambio di cibo e cominciava a rincorrerlo, rendendo inutile la raccolta di dati).
Ed ecco che due esemplari perfetti comparvero accompagnati da un’altra di quelle forme di non-papera, grande più o meno come una papera, ma senza ali, senza becco e con delle piume sottilissime di colore marroncino. Come da copione i due umani si sedettero su una di quelle piante orizzontali, dopo aver tolto un po’ di profumati escrementi di papera (cosa che il professore giudicò molto offensiva). Come sempre si sedettero, si mostrarono un po’ le ossa orali e l’individuo maschio allungò il moncherino di ala verso l’individuo femmina (o il contrario, il professore non era sicuro, ma poco importava). Stava aspettando il momento saliente, ancora poco e avrebbero iniziato a scambiarsi cibo. Il Professor Quaquaviz era molto emozionato. Passarono i minuti, ma non succedeva niente mentre la forma di non-papera più piccola e marroncina continuava a correre intorno alla coppia. Forse era lei l’elemento di disturbo? I suoi dati sarebbero stati ancora validi? Più il tempo passava più il professore diventava nervoso. Le ossa del muso continuavano a scoprirsi e i suoni emessi erano i soliti gorgheggi sgradevoli, ma allora perché non iniziava il rituale dello scambio di cibo? A quel punto, la non-papera piccola e marroncina saltò sulle gambe dell’individuo femmina, mosse un po’ la sua strana coda allungata e infilò la lingua nel becco dell’individuo femmina, o insomma, dove avrebbe dovuto esserci il becco. Poi tornò a correre tutta contenta. Le ossa delle bocche dei due umani risplendettero più che mai e dopo l’emissione di qualche altro suono gutturale, con immensa soddisfazione del Professor Quaquaviz, finalmente successe: il muso molle si allungò in uno pseudo-becco e lo scambio di cibo ebbe inizio.
La sua teoria era confermata. Ora poteva scrivere un altro libro di successo.
IL VISUALIZZATORE SPAZIO-TEMPORALE
Fu così che gli scienziatissimi inventarono in visualizzatore spazio-temporale.
Un aggeggino più piccolo di quanto si possa immaginare, ma molto, molto, più sofisticato di quanto si possa immaginare.
Se pensate al momento in cui si trovano 20 euro nei pantaloni che si sono messi via per l’inverno, o a chi si accorge che il 25 aprile cade di giovedì, o ancora a una donna che credeva di avere finito le patatine e invece ne trova un pacchetto in fondo alla dispensa, potete più o meno avere un’idea di come gli scienziatissimi si sentirono quando quel coso si mise effettivamente a funzionare.
Quello che videro erano, in realtà, una serie di linee verdognole su uno schermo nero, ma con le loro menti super intelligenti di chi è abituato ad andare a letto alle 9 di sera dopo aver letto almeno un numero di Topolino, ebbero subito una visione chiarissima di ciò che gli scorreva davanti agli occhi.
In uno schermo 2D era visualizzata la storia dell’universo, passata presente e futura, con le componenti spaziale e temporale fuse insieme.
Ora, non stiamo a soffermarci sui particolari, anche perché sarebbe inutile, dal momento che dubito che andiate a letto prima di mezzanotte. La cosa importante è segnalare che, dopo il primo momento di pura euforia, gli scienziatissimi si accorsero di un’anomalia imprevista: lo spazio-tempo aveva un centro. Esatto, un punto centrale. Un ombelico. Verso quel punto convergevano le infinite linee di probabilità passate, e da quello stesso punto ne partivano infinite altre.
Era come il centro di una clessidra.
Sbigottiti gli scienziatissimi si chiesero cosa potesse essere quell’evento così rilevante. Alcuni parlarono del Big Bang, altri pensarono al giorno di rilascio del primo numero di Topolino, altri ancora affermarono che il visualizzatore spazio-temporale era semplicemente rotto, quindi tanto valeva andarsi a prendere un caffè.
Fortunatamente non erano tutti così sprovveduti, e uno di loro si ricordò che quel piccolo aggeggio grigio aveva la funzione di zoom-in.
Premuto il tasto giusto, le linee verdognole cominciarono a sgranarsi e rimettersi a fuoco a ripetizione, acquistando man mano alcuni particolari, fino a quando non si delinearono immagini di onde, scogliere ed alberi. Poi una scalinata e due figure. E dall’altoparlante del visualizzatore spazio-temporale (chi ce lo aveva montato un altoparlante su quell’aggeggio?) venne fuori una semplice parola: “Sì!”
L’AMORE
E gli Dei decisero che bisognava scegliere. Troppa era la confusione che regnava nel mondo. Troppe le speranze deluse. Troppe le parole al vento. Bisognava scegliere cosa rappresentasse veramente l’Amore.
Convocarono allora tutti gli elementi della terra, del mare e del cielo. Tutti i sarebbero presentati al loro cospetto e loro, gli Dei, avrebbero scelto chi tra essi fosse il più degno.
Per prime arrivarono le Stelle.
“Noi siamo coloro che ispirano poesie dall’alba dei tempi”. Dissero le Stelle. “Sotto la nostra luce innumerevoli sono gli amanti che si sono stretti in abbracci pieni di sogni. Noi sole meritiamo di rappresentare l’Amore”. Erano belle sì, ma lontane e immutabili nei secoli.
E gli Dei passarono oltre.
Arrivò quindi la Pioggia.
“Infinite sono le mie gocce, come infiniti sono i baci degli amanti. Il mio sono è musica e nulla è più romantico di stringersi sotto un unico ombrello. Io, perciò, ho il diritto di rappresentare l’Amore”. Ma neanche della Pioggia gli Dei furono soddisfatti. Era fredda e scura e non adatta a quel ruolo.
Arrivò quindi il Sole.
“Io” disse il Sole, “sono la fonte della vita. Tutto illumino e tutto creo. Nulla cresce senza di me. Brucio come la passione, brillo come gioia”.
“Hai ragione Sole” dissero gli dei. “Tu sei grande e potente. Tu sei la Vita, ma non sei l’Amore”.
Arrivarono i Fiori nella loro infinita varietà di forme e colori, e lo spettacolo fu meraviglioso.
“Noi siamo i Fiori, regalo prediletto tra gli amanti. Noi siamo la Primavera, la stagione dell’Amore. Noi siamo la Bellezza, indispensabile all’Amore”.
Gli Dei ci pensarono, ma neanche i Fiori, in tutto il loro splendore, erano adeguati.
“Siete belli, Fiori. Ma perite in fretta. Non siete adatti a rappresentare qualcosa di eterno come l’Amore”.
Poi vennero i Diamanti, la Luna, la Notte. Venne il Mare e venne la Musica. In molti passarono sotto gli occhi degli immortali per cercare diventare l’Amore, ma tutti tornarono indietro rifiutati dalla saggezza degli Dei.
Dopo molto tempo fu convocato un umile Sacchetto Caldo di Castagne che non osava neanche alzare gli occhi verso quelle creature luminose. E stava lì, senza parlare. Ma il suo profumo raggiunse il naso degli Dei, e il suo calore riscaldò la stanza. Sapeva di novità, dell’inverno che viene promettendo la luce del camino e il silenzio della neve. Sapeva di casa e di quando si è bambini. Sapeva di una cosa antica, e sapeva di buono. In quel momento gli Dei capirono che solo lui era adeguato per rappresentare l’Amore. E così da quel giorno si iniziò a dire: Ti amo, come si ama un sacchetto caldo di castagne.