Louis trovò una tortora di pochi giorni sotto casa sua, attaccata alle pietre della rampa d’ingresso. Una volta posati gli occhi su quell’essere, non riuscì a continuare per la sua strada ignorando l’uccello tremante. Gli diede un piccolo colpo con la scarpa per testarne la vitalità, provocandosi un’ambivalente sensazione di sollievo e frustrazione quando quello aprì gli occhi aumentando la frequenza del respiro. Fosse stato morto o quasi morto, Louis avrebbe di certo sperimentato un sentimento di triste sconforto ma questo sarebbe poi stato rapidamente diluito dalla percezione dell’ineluttabilità del fato, di cui, in quel caso, non avrebbe dovuto esserne un attore. Ora invece, lui era chiamato all’azione, o almeno alla decisione della non-azione. Sapeva che gli scenari possibili non erano confortanti. Se avesse deciso di “salvarlo”, non aveva idea di come occuparsi del pennuto: ignorava il tipo di cibo necessario alle esigenze e le modalità con cui somministrare tale nutrimento. Non sapeva se andasse tenuto in casa o all’aperto, al caldo o al freddo. Si rendeva conto che se lo avesse preso con sé, lo avrebbe costretto a una lenta agonia, fino al giorno in cui, tornando a casa, lo avrebbe trovato tristemente privo di vita. E di quella morte, ma soprattutto di quella ineluttabile sofferenza, se ne sarebbe sentito responsabile. In più, Louis era in grado di capire come per quel povero uccello lui rappresentasse solamente un enorme predatore, dal quale l’essere raccolto, chiuso in un contenitore e spostato in un appartamento, non sarebbe stato fonte di sollievo, ma soltanto di ulteriore terrore. Se d’altra parte lo avesse lasciato lì, l’uccello sarebbe di sicuro perito a causa del freddo, dell’inedia o peggio ancora per opera di un gatto annoiato; anche in questo caso la sua sofferenza si sarebbe protratta ancora per molti minuti, forse addirittura ore, e si sentì male sperimentando la percezione quasi fisica del processo mentale della piccola tortora che sapeva di stare per morire e lì aspettava. Gli pareva quasi di percepire dentro di lui una angoscia acuta, come fosse lui stesso in balia di un essere enorme e potente, come di un fato crudele.
Gli riaffiorò tuttavia in quel momento un ricordo: qualche mese prima aveva assistito a uno spettacolo strano e terrificante, ma che ora gli sembrava in un qualche modo sensato. Un volatile non identificato (era un Garrulus Glandarius, ovvero una ghiandaia, ma lui questo non aveva modo di saperlo) aveva spinto giù dal nido un altro uccello simile a quello che ora gli tremava tra i piedi e questo, beccandogli il collo, gli aveva staccato la testa. Compiuto l’omicidio, l’uccello si era posato su un ramo, iniziando a strappare piccoli lembi di carne rossa dal suo bottino. A quella vista Louis era rimasto orripilato, come rimane orripilato chi non è mai stato sottoposto in vita sua ai processi del mondo naturale. Ora però, quel gesto del volatile carnivoro si incasellò all’interno di un più ampio discorso riguardo la necessaria crudeltà della vita che gli si stava lentamente formando dentro. Quell’atto omicida gli sembrò ora una delle cose più vere e pure che avesse mai avuto modo di osservare; di sicuro la piccola tortora aveva fatto una brutta fine, ma questo era nel contesto del meraviglioso ciclo dell’esistenza, al punto tale che il comportamento della ghiandaia fu letto come un monito, come un oracolo in grado di agire da anello di congiunzione tra lui e il mondo del naturale.
Quell’epifania gli permise così di uscire dall’impasse creato dalla presenza della piccola tortora: senza più dubbi e con il cuore leggero, Louis raccolse il pennuto, lo guardò dritto nei piccoli occhi neri che gli parvero sapere già tutto, e gli staccò la testa con un preciso morso alla base del collo.