Petro nacque nel 1855 da una mucca, o almeno così si dice, e questa è più o meno l’unica cosa interessante della sua biografia. Fu trovato vicino a una vacca podolica che era stata gravida fino a poco tempo prima, ma di cui non fu mai rinvenuta alcuna traccia del vitello. Si era materializzato invece questo bambino ricoperto di amnios e sangue e così tutti diedero per scontato che lui, Petro, fosse il figlio della mucca. Se ne discusse animatamente in paese, ma non per molto, dato che di lì a breve scoppiò la guerra di Crimea, ed essendo il paese Sebastopoli la gente cominciò a preoccuparsi di altro, principalmente sopravvivere.
Da una nascita così straordinaria ci si potrebbe aspettare un’infanzia eccezionale, o almeno qualche muggito precoce, ma in realtà il bimbo si mostrò sostanzialmente convenzionale, fatto salvo per la capacità di sbattere le orecchie e per una criniera di capelli fittissimi e quasi grigi, che non crebbero mai più lunghi di qualche centimetro. Fu preso in casa dalla famiglia di pastori a cui apparteneva la mucca e allevato distrattamente insieme agli altri figli. I genitori erano due persone semplici e sostanzialmente buone, anche se nel periodo successivo alla guerra, quando il cibo era scarso, si domandarono spesso se fosse il caso di macellare quel bimbo strano, data la sua genealogia. Va detto che lo pensarono anche per gli altri bambini, quelli nati da loro, ma Petro era di sicuro il primo della lista in caso si fosse deciso per quella strada. Si risparmiò di diventare uno stufato – cosa che purtroppo non si può dire per la madre -, ma dovette poi sopportare molti altri fastidi, come ad esempio la fame, la poliomielite e le attenzioni di uno zio che si credeva prete, zio che quando non gli metteva le mani nelle mutande, cercava di esorcizzarlo a sorpresa sbattendogli in testa una croce di legno. Sopravvisse alle carenze, alle infezioni e alla religiosità di paese, come fanno in tanti, ma appena poté prese le sue poche cose e andò in cerca di fortuna in giro per l’Europa. Da clochard entrò in contatto con una miriade di personaggi strani, molti dei quali si definivano “artisti”, e così ben presto venne anche a Petro l’idea di cimentarsi nel mondo dell’arte. Scoprì di avere un grande talento, soprattutto per la paesaggistica rupestre; le sue tele conferivano un senso di profonda calma e saggezza animale che raramente si poteva trovare nelle opere di altri suoi colleghi contemporanei. Dopo alcuni anni di vita per strada, i suoi lavori furono notati da un famoso pittore di Parigi, che gli diede un posto dove vivere e lo accolse nel suo atelier. Essendo però Petro figlio di nessuno – nel vero senso del temine -, non gli fu dato molto spazio, e l’unica mansione che gli fu affidata fu quella di treppiede. Si trovò così a passare tutte le sue giornate a reggere sulle spalle le tele del famoso artista, che aveva la malaugurata abitudine di dipingere nudo. Petro svolse comunque il lavoro con costanza e dedizione, non perché amasse il pene del suo capo che gli sbatteva in fronte dalla mattina alla sera, ma perché era stato cresciuto con quella diffusa menzogna secondo la quale, lavorando duro senza risparmiarsi, è possibile ottenere tanto dalla vita anche partendo dal basso. Resistette quindi molti anni, come treppiede di giorno e pittore di notte, ma non ottenne mai l’emancipazione tanto promessa e sperata. Un giorno infine, mentre era curvo a sostenere un’enorme tela del suo protettore, si alzò di scatto, tirò un calcio alle palle dell’artista degno della sua origine e se ne uscì dalla bottega senza mai più tornarci. Morì pochi giorni dopo investito da una carrozza, e come si diceva all’inizio, la sua biografia non ha in fondo nulla speciale, oltre alla bizzarra modalità della sua nascita, che a pensarci bene potrebbe anche essere solo una banale leggenda di paese.