Mosche

A Monterocco c’è solo un bar, e questo è invaso dalle mosche. Oltre alle mosche ci sono tre uomini che stanno consumando con calma il loro pasto, seduti placidamente sotto il tendone a righe. Il bar è chiuso, ma loro si ritrovano lì tutti i pomeriggi, da sempre, indipendentemente dal servizio. Mangiano in piatti di plastica e i pezzi di carne sono impilati sopra grossi vassoi di metallo. Ogni tanto uno di loro fa scattare una mano e uccide uno dei piccoli insetti che fastidiosi gli ronzano attorno, aggiungendo una macchia di interiora alla canottiera già chiazzata di sangue.

Nonostante questo, le mosche non se ne vanno: rimangono ad agitarsi intorno a quelle tre figure statiche, attratte dal sudore di quei corpi caldi e dal cibo abbondante. La carne è prevalentemente cruda, a loro piace così, e se qualche pezzo risulta eccessivamente difficile da masticare, lo passano rapidamente su delle braci che hanno acceso accanto al tavolo. A cadenza regolare i tre anziani si scambiano qualche battuta e ridacchiano, complimentandosi per il pasto. Il più anziano è Antonio, quello seduto a sinistra, con la barba ispida e i pantaloncini troppo corti che scoprono le cosce bianche eccessivamente sottili. È più vecchio degli altri due, Giorgio e Alfio, ma supera i compagni solo di pochi anni.

Tutti e tre hanno partecipato alla guerra e conservano ancora le divise nell’armadio, lo stesso dove tengono, sotto chiave, le armi. Non le usano mai, le armi, perché preferiscono cacciare con metodi più antichi; però le puliscono spesso, in un rituale sempre uguale e quasi sacro.

Quando Giorgio sputa di lato un pezzo di cartilagine troppo duro per i suoi denti, per un attimo le mosche si disperdono disordinate, tornando subito dopo, ancora più rumorose e moleste.

Poco prima era arrivato in bici un ragazzo proveniente da un altro paese. Si era fermato per chiedere loro indicazioni, ma appena aveva inquadrato i tre uomini aveva fatto il gesto di ripartire, senza aprire bocca, come se ci avesse ripensato. Antonio e i due compagni avevano però risposto con un’inaspettata solerzia a quella visita, mostrandosi subito interessati. Erano stati prolissi nel fornire i dettagli della strada che il ragazzo avrebbe dovuto percorrere in bici per superare la valle; lui, mentre parlavano, non si era accorto che Alfio si era staccato dal gruppo, raggiungendolo alle spalle. Erano anziani ma sapevano muoversi ancora con grande agilità e non appena il giovane fu a terra, intralciato nei movimenti dal telaio della bicicletta, Alfio gli si era già gettato sopra. Conclusero la faccenda in fretta, perché non amavano le urla ed era sempre più dignitosa una caccia rapida e pulita. Avevano poi apparecchiato con calma, iniziando il pasto, come d’abitudine, con un brindisi ai vecchi tempi andati, alzando in aria tre bicchieri di plastica mezzi accartocciati, pieni di un vino denso, mentre arrivavano le mosche pronte a banchettare insieme a loro sulla carne del ragazzo.

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